Il ritiro sociale
Un fenomeno in forte crescita
di Ester Scaravelli (Psicologa e psicoterapeuta)
28 giugno 2021
Gli indicatori di salute mentale nei giovani (es: solide relazioni con i familiari e con i coetanei, consapevolezza di sé, capacità di imparare e possibilità di sfruttare le risorse culturali per una buona crescita) sono in calo da 15 anni e parallelamente le richieste di aiuto ai servizi pubblici e privati sono in aumento.
Come si è inserita la Pandemia da Covid-19 in questo quadro? Come stanno i giovani a seguito delle restrizioni e dopo un anno scolastico particolarmente limitante per quel che riguarda le relazioni? E che impatto ha avuto su ragazzi e ragazze già portatori di fragilità?
Rispetto al benessere dei giovani potremmo considerare il periodo della Pandemia come una crisi nella crisi. Le situazioni di fragilità preesistenti ne hanno subito notevolmente gli effetti con regressioni di abilità acquisite ed un aumento ulteriore del divario tra fasce sociali. Ma anche chi si poneva in una fascia grigia, borderline rispetto al disagio, ha visto l’accentuazione e in alcuni casi la slatentizzazione (manifestarsi di problemi latenti) di sindromi complesse (autolesionismo, disturbi alimentari, sintomi ansioso-depressivi, disturbi ossessivi e aumento di ritiro sociale).
Tali evidenze richiedono qualche riflessione rispetto al momento che stiamo vivendo soprattutto in riferimento ad una crisi, in particolare quella educativa, già fortemente presente e sentita in epoca pre-Covid.
Ultimamente ci s’interroga spesso sugli effetti della Pandemia sulla salute e sul benessere delle persone e in particolare, su un problema già in forte aumento in epoca pre-pandemica, ovvero il tema del ritiro sociale in adolescenza.
Cos’è il ritiro sociale?
Il fenomeno riguarda quegli adolescenti che volontariamente abbandonano le relazioni amicali, la scuola e tutti i contatti sociali per rinchiudersi nella loro stanza, riducendo al minimo i contatti reali per sostituirli con un’intensa attività di video giochi, di visione di film, di lettura di fumetti e nei casi meno gravi, Internet e contatti virtuali. Il ragazzo con ritiro grave non è, infatti, capace di preservare neanche i contatti virtuali poiché implicano comunque una relazione.
Ma cosa induce un ragazzo a ritirarsi nella propria stanza negandosi la possibilità di vivere un periodo della vita fondamentale per lo sviluppo dell’identità?
In generale, si tratta di giovani fragili a livello relazionale, ipercritici nei confronti di una società della quale non si sentono parte integrante, dalla quale hanno deciso, più o meno consapevolmente, di prendere le distanze, per le dinamiche sempre più individualiste che la contraddistinguono.
Il fenomeno ha fatto la sua comparsa in Giappone tra gli anni ’80 e ’90, lo psichiatra Saito Tamaki fu tra i primi ad utilizzare il termine Hikikomori, che significa stare in disparte. Il fenomeno in Giappone sembra legato alle caratteristiche intrinseche della società̀ di riferimento: una società̀ molto competitiva, assai rigida nella stratificazione sociale, con un senso dell’onore molto radicato e tale che la perdita dell’onorabilità̀ rappresenta la perdita dell’identità̀ stessa, e dunque vista come qualcosa d’irrimediabile. Tutti questi elementi messi insieme hanno portato e portano molti adolescenti ad abbandonare questa competizione e a ritirarsi a vita privata, facendo un atto di rinuncia e di suicidio sociale: salvando da un lato l’onore, e dall’altro mettendo in atto una sorta di protesta silente con il rifiuto della società̀ che li circonda. Quello che però si osserva è un aumento di casi simili anche in Occidente.La domanda da porsi allora è capire che cosa induca i giovani ad assumere un simile atteggiamento, considerato che la pressione sociale, in Europa ad esempio, è completamente diversa rispetto a quella della società̀ giapponese, e così anche l’atteggiamento culturale.
Qualcuno ha definito il ritiro sociale come un disagio adattivo sociale che si innesca come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale, tipiche delle società̀ capitalistiche economicamente più̀ sviluppate. Le pressioni di realizzazione sociale (es. “devi prendere bei voti”, “devi trovarti un lavoro fisso”, “devi trovarti un/a ragazzo/a”, “devi essere simpatica/o, sportiva/o e attraente”) sono ovviamente più̀ forti nell’adolescenza e nei primi anni di vita adulta, quando vi sono molte aspettative sul futuro. Ragazzi e ragazze si trovano così a dover colmare virtualmente il gap che si viene a creare tra la realtà̀ e le aspettative di genitori, insegnanti e coetanei. Quando questo gap diventa troppo grande si sperimentano sentimenti di impotenza, perdita di controllo e di fallimento.
A loro volta questi sentimenti negativi possono portare a un atteggiamento di rifiuto verso quelle che sono le fonti di tali aspettative sociali. E poiché́ queste fonti sono rappresentate dai genitori, dagli insegnanti, dai coetanei e, più̀ in generale dalla società̀, il ragazzo tenderà̀ spontaneamente ad allontanarsene. Da qui il rifiuto di parlare con i parenti, di andare a scuola, di mantenere relazioni d’amicizia e di intraprendere un qualsiasi tipo di carriera sociale. Da qui i sentimenti d’odio verso le sorgenti del proprio dolore. Da qui la scelta del ritiro.
Ma vediamo come si presenta, quali sono le caratteristiche principali del fenomeno, qual è la sintomatologia. Saito sosteneva che per parlare di Hikikomori il ritiro dovesse essere presente per almeno sei mesi e che l’isolamento non costituisse il sintomo primario di altri disturbi psichiatrici. Sicuramente il ritiro sociale presenta diverse comorbilità (ansia sociale, disturbo evitante di personalità, etc.) ma per l’educatore che si approccia a tale fenomeno è relativamente poco importante la diagnosi differenziale, ciò che conta è tenere in considerazione l’alta incidenza del problema, la trasversalità delle classi sociali e soprattutto la fenomenologia (quadro clinico), non dimenticando che la storia di ogni individuo è unica.
Pur nella eterogeneità del fenomeno si possono individuare alcune caratteristiche comuni: il ritiro si presenta prevalentemente tra i 14 e i 30 anni in ragazzi/e con buone capacità cognitive. Spesso è presente una storia pregressa di bullismo, anche lieve, e di fobia scolastica. L’umore si presenta solitamente depresso, con apatia, sensi di colpa e autosvalutazione. In famiglia si manifestano spesso episodi di violenza e aggressività, spesso conseguenti ad azioni messe in atto dai genitori per contrastare il problema. Altra caratteristica comune è l’alterazione del ritmo sonno-veglia, si tratta di ragazzi che dormono di giorno e stanno svegli durante la notte, impegnati a giocare on-line, leggere, guardare film o “anime”.
L’attività in Internet è spesso l’unica finestra sul mondo che questi ragazzi mantengono e, tale aggancio va rispettato e capito, poiché rappresenta l’unico modo che hanno per mantenere delle relazioni. A tal proposito è importante fare un po’ di chiarezza tra il fenomeno del ritiro e la dipendenza da Internet. Sebbene spesso si presentino assieme è la dipendenza che deriva dal ritiro e non il contrario! Si può essere dipendenti da Internet senza essere ritirati sociali. A dimostrazione di ciò il fenomeno Hikikomori esiste dagli anni ’80 -’90 quindi ben prima che Internet prendesse gli spazi che ha ora nelle nostre vite. Le cause primarie del ritiro sono quindi da ricercare altrove, sebbene Internet possa, in alcuni casi, rappresentare un mezzo comodo per mantenere il problema.
Gli interventi?
Pur tenendo conto dell’unicità di ogni ragazzo/a e della sua storia, è possibile definire alcuni elementi centrali per pratiche di intervento efficaci: un’azione di rete dove vengano coinvolte varie figure professionali (psicoterapeuta, neuropsichiatra, assistente sociale, educatore) a seconda della situazione e della fase riabilitativa. Altrettanto necessario è il lavoro con la famiglia, elemento cruciale sia per entrare in contatto con il/la ragazzo/a sia per apportare delle modifiche al clima domestico nel quale l’Hikikomori vive. Infine la condizione sine qua non, è riuscire ad instaurare un’alleanza con il/la ragazzo/a, provando a comprendere il suo ritiro come conseguenza di un senso di vergogna e frustrazione molto forti.