Mai avrei pensato…
di Ferruccio Venanzio
30 giugno 2022
Il Gruppo Carcere della Comunità di San Martino al Campo, attraverso i suoi volontari, da anni incontra i detenuti della Casa Circondariale cittadina, dedicando a loro il tempo di un colloquio, di un ascolto (scevro da pregiudizi), accompagnato spesso dalla consegna di capi di vestiario. I volontari entrano nel carcere due o tre volte alla settimana muniti di un permesso ottenuto dopo formale richiesta depositata alla Direzione dalla Comunità.
Nella mia immaginazione e in quella, credo, di migliaia di miei concittadini il lugubre edificio delle carceri di via Coroneo, situato alle spalle dell’imponente e artistica sede del Palazzo di Giustizia, è considerato un non luogo, con quelle mura squadrate, i finestroni muniti di sbarre, i camminamenti e le torrette. Un tabù che liquidiamo con un’occhiata quando ci passiamo accanto in auto o a piedi. Noi fuori, loro dentro.
Raggiunta la terza (quarta?) età mai avrei pensato di varcare quel portone, consapevole che quelle mura racchiudono un’umanità sospesa e sofferente da incontrare in punta di piedi. Invece, con sufficiente coraggio e forte di un certo equilibrio raggiunto negli anni, eccomi pronto ad entrare. Superati i controlli e alcune pesanti porte scorrevoli si accede ad un vasto ambiente, una specie di zona mista dove il fuori e il dentro si incrociano, dove si possono incontrare detenuti, avvocati, psicologi, volontari muoversi sotto l’occhio vigile di agenti di entrambi i sessi.
Dai colloqui traspare una grande varietà di situazioni, com’è intuibile. Durata della pena, ricorsi, udienze processuali, colloqui con avvocati, famiglie sgretolate o ancora parzialmente in piedi, racconti di vite buttate via, errori, reati commessi per leggerezza… e poi rabbia, rimpianti, affermazioni di candida innocenza, di errori giudiziari e di patite ingiustizie. C’è chi non vede nessuno, abbandonato da tutti, familiari compresi. Incontriamo persone di tutte le età, giovani con ancora la voglia e il tempo di riscattarsi, anziani rassegnati, persone colte o meno, con inaspettate doti personali e capacità lavorative gettate via che forse a stento potranno essere messe nuovamente in pratica. Conosciamo extra-comunitari e persone di ogni etnia e religione, con le quali a volte è difficile capirsi. Durante questi incontri si ha a volte l’impressione che per i detenuti il proprio passato non esista o venga volutamente ignorato. È un modo per confrontarsi quasi alla pari in una sorta di terra di mezzo o di nessuno. E nelle conversazioni il reato commesso non viene quasi mai nominato se non a volte per iniziativa dei nostri interlocutori.
Con alcuni riusciamo ad instaurare un discorso progettuale utile per accompagnarli fino alla fine della detenzione e per poterli poi seguire nei primi mesi di libertà, risolvendo per loro alcune incombenze burocratiche o piccole difficoltà pratiche. Una buona occasione per far respirare loro un briciolo di libertà è anche lo scambio epistolare che alcuni hanno con noi volontari. Un modo che consente loro di soppesare le parole, riflettere con calma su concetti e situazioni personali, a volte più gratificante e utile di uno scambio orale.
Avrei creduto di sentirmi a disagio in quell’ambiente per me sconosciuto e di fronte ad una realtà così particolare, ma quasi subito, attraverso i colloqui con i detenuti, è prevalso il senso di umanità e l’ovvia consapevolezza che sono esseri umani come tutti, costretti temporaneamente in un limbo per aver commesso degli errori, indotti per questo a riflettere sulla loro esistenza passata, presente e futura.
I pochi minuti di conversazione, che a volte lasciano lo spazio per una battuta e un sorriso, sono purtroppo una goccia nel mare delle lunghe ore trascorse in cella. Ma assieme ad alcune attività lavorative organizzate per i detenuti, qualche corso interno, semplici stimoli culturali e la pratica di un po’ di attività motoria possono essere un mezzo per evitare che alla limitazione della libertà non si accompagni anche quella della dignità, di cui ogni persona, anche quelle che hanno commesso degli errori, ha diritto. Bisogna alimentare per queste persone il desiderio di un futuro di speranza prospettando loro la possibilità di un cambiamento.
Quando usciamo è inevitabile considerare quanto preziosa sia la libertà di respirare, di sentire il sole o la brezza sulla pelle, di vedere la gente che lavora, cammina, parla, sorride, quanto prezioso sia il mondo da vivere appieno, quanto importante sia l’esistenza stessa per permettersi di sprecarla.