Di Claudio Calandra

4 giugno 2024

 

Chi si sia occupato di approfondire l’aspetto delle fasce d’età degli aderenti alla Comunità di San Martino al Campo, si sarà accorto come la percentuale degli ultracinquantenni sia decisamente superiore a quella dei venti-trentenni.

Pur non disponendo di rilevazioni aggiornate, frequentando le diverse sedi di accoglienza e di servizio,  si nota come la stragrande maggioranza di volontari siano non più giovani. Si tratta sicuramente di una colonna portante, un gruppo attivo e fortemente motivato, che si mette in gioco ogni giorno, conscio dei suoi limiti ma anche delle potenzialità che ognuno è in grado di esprimere. La cosa non deve stupire. A parte un numero di giovani impegnati in tirocini, servizi civili, collaborazioni ad altro titolo o che hanno interesse ad un’esperienza in Comunità, il volontariato raccoglie di solito, anche se non in modo assoluto, persone che prestano la loro opera, esperienza, impegno, tempo a favore degli altri o comunque a beneficio della società, una volta concluso il ciclo lavorativo.

Guglielmo Giumelli, (sociologo, facoltà di Giurisprudenza, Università Milano-Bicocca), di cui ho già avuto modo di parlare nell’articolo “Dentro il volontariato, problemi e potenzialità” ne Il Punto on-line, ha scritto con Dieter Schürch “Vecchi e spazi di vita” (il Nuovo Melangolo, Genova 2022). Nella prima parte di questo saggio Giumelli affronta il tema dell’invecchiamento della popolazione e dei problemi connessi.

I vecchi assumono visibilità verso metà/fine ‘700 quando molti devono mendicare per sopravvivere, nell’800 sono oggetto di attenzione difensiva con interventi caritativi o reclusivi, maggior attenzione è riservata nel ‘900, anche se appena nel 1914 si usa per la prima volta il termine geriatria e solo nel 1958 nasce una delle prime ricerche sull’invecchiamento, studiando i rapporti con le variabili sociali (famiglia, lavoro, relazioni sociali), riconoscendo la complessità del fenomeno.

La scienza si è arrovellata sulla definizione del momento in cui si entra nella fase della vecchiaia, coinvolgendo medici, economisti e giuristi ma accanto a variabili biologiche e psicologiche, vi sono variabili storiche, antropologiche e filosofiche. Non esistono cesure tra le fasi di vita, si parla di “spazi di vita”, condizionati da fattori bio-fisiologici, patologici e specifici di ogni fascia d’età. Complessità e variabilità personale ne sono le caratteristiche. Esiste anche l’invecchiamento sociale, condizionato da fattori economici, finanziari, culturali e giuridici.

Claudio Magris ha scritto che la vecchiaia è un testo scritto dalla vita sul corpo dell’uomo, ma alterabile e manipolabile dalla sua intelligenza e dalla sua fantasia e Chiara Saraceno aggiunge “gli individui nascono in periodi diversi e nell’entrare e nel passare attraverso le varie età incontrano circostanze sociali che modificano, tanto o poco, i passaggi di età e le fasi della vita”. L’invecchiamento non va inteso come malattia: esso va perciò governato non debellato.

Le classi d’età

Le società poco sviluppate sono divise in due classi d’età: bambini e adulti, con un confine “sociale” che le distingue. Nella società industriale le classi sono tre: giovinezza (preparazione al lavoro), vita adulta (lavoro), e vecchiaia (cessazione del lavoro), che le istituzionalizza attraverso l’età cronologica (studio, lavoro, pensionamento), ma questa rozza tripartizione lascia spazio a flessibilità: aumenta la prima fase (preparazione, ricerca lavoro, post-adolescenza) e aumenta la terza; non vi è più coincidenza tra pensionamento, fine della vita lavorativa e inizio della vecchiaia. Disoccupazione di lunga durata, sottooccupazione, prepensionamenti, precarizzazione restringono gli spazi del tempo-lavoro, evidenziando il non-senso di uno status improduttivo in una società produttivistica.

Prende significato e importanza la terza età caratterizzata da buone condizioni di salute, inserimento sociale, disponibilità di risorse diverse. Ciò grazie alla diminuzione del tempo lavoro e l’aumento della cura della persona, della formazione costante, dell’uso del tempo libero.

Si parla di quarta età, caratterizzata da dipendenze e decadimento fisico, e tra poco si parlerà di quinta età. In una società basata sulla produttività manca una identità sociale per coloro che non producono (e in questo novero entrano drammaticamente anche i giovani), mentre la sopravvalutazione del ruolo di consumatore può celare la sottovalutazione (lo stigma) legata alla fine dell’attività lavorativa remunerata.

La nuova terza età è collocata in uno spazio in cui il ruolo sociale ed economico assume sempre più peso, così come il ruolo dell’associazionismo, delle università della terza età, delle università popolari, circoli, della cura della forma fisica, delle attività sportive, culturali ecc.

Si dovrà mettere in discussione il consumismo delle cure sanitarie, un sistema concepito per curare le acuzie, più che per curare le malattie croniche e quindi meno rivolto alla prevenzione. Problemi economici potrebbero perfino richiamare problemi etici (siamo tutti uguali di fronte alle cure?) e possibili selezioni, tali da stabilire il diritto di cura sulla base del presumibile tempo di vita residuale.

Capaci-incapaci

La popolazione invecchia sempre di più e cresce il numero delle persone disposte a lavorare. Questa disponibilità si scontra però con l’indisponibilità del sistema produttivo, che lega le capacità lavorativo-professionali alle competenze e abilità, leggasi alla flessibilità, alla capacità di adeguamento al cambiamento, al problem solving.

Indipendentemente dalle capacità fisiche o intellettuali l’incapacità di interagire con il mondo della tecnologia, il non adattamento ai cambiamenti tecnologico-produttivi crea l’obsolescenza del lavoratore. Esperienza, capacità e conoscenza sono considerate sempre meno utili e ciò spiega prepensionamenti, mobilità, disoccupazione di lunga durata; tutto ciò fabbrica l’anziano e l’anzianità.

La società preferisce accompagnarlo in un’uscita dolce, normativa. Le innovazioni medico scientifiche migliorano le condizioni fisico mentali, mentre le innovazioni tecnologico-produttive arretrano l’età della non impiegabilità. Ciò rappresenta uno spreco poiché la produttività di ognuno è essenziale alla società moderna. Il lavoro non è solo produzione di merci o servizi, lo sono anche attività materiali e immateriali utili per sé e la società.

Guglielmo Giumelli, con la lucidità ed il rigore che gli è proprio, conclude questo breve ma interessante saggio con una indicazione forse utopica ma coerente. La risposta risiede nel superamento della dicotomia attivo-non attivo, nel diritto/dovere di ognuno di essere socialmente e diversamente attivo; si deve attribuire significato e valore non solo alla produzione di cose ma ad una vasta gamma di attività sociali, dove la remunerazione non sia il discrimine in termini di valore. Il concetto di lavoro, ereditato dalla società capitalistica, considera produttive solo le attività remunerate. Poiché non si va verso una società del pieno impiego, né verso una società del tempo libero si andrà probabilmente verso una società della pluriattività, dove la attività diversificate e non salariate hanno la stessa dignità di quelle salariate. La pluriattività crea spazi che si alternano e si succedono in attività multiple, superando il concetto esclusivo di lavoratore salariato.

Il Progetto di Monte

La seconda parte del saggio la scrive Dieter Schürch, psicologo ed esperto di scienza dell’educazione, che ha insegnato metodologia della ricerca in ambito psicosociale all’Università di Ginevra e psicologia dello sviluppo regionale all’Università della Svizzera Italiana.

Questa parte si intitola La rete che non c’è e si concentra sulla collocazione dell’anziano all’interno di un contesto sociale in forte cambiamento, condizionato dallo sviluppo delle tecnologie della comunicazione. Schürch descrive un progetto sperimentale realizzato a Monte, in valle di Muggio, Canton Ticino, Svizzera. Per gli anziani, la mancanza di cognizioni adeguate sul contesto di prossimità genera insicurezza e rende difficile la relazione. L’omologazione ambientale (medesime scritte, negozi, prodotti), rispecchia l’appiattimento, la standardizzazione, la ritualizzazione che nega le differenze culturali. Piazze, luoghi di socializzazione, botteghe tendono a scivolare nei nonluoghi, spazi senza vocazione. Il problema è stato affrontato promuovendo una possibile familiarità con le tecnologie della comunicazione.

Conclusioni

In questo libro gli autori cercano di spostare l’accento dall’anziano bisognoso alla società, tramite un ripensamento collettivo tra chi vive oggi tale momento e chi lo vivrà ma che oggi per paura lo allontana o lo nega. La società ha l’esigenza di riconquistare i rapporti tra generazioni, dove l’anzianità non è più solo un problema di fragilità ma è espressione di una diversa interpretazione anche culturale del tempo, promuovendo una nuova visione dell’anzianità in una società che ha grande bisogno di storie, tempo, spazi e contemplazione.

 

 

Bibliografia

Guglielmo Giumelli e Dieter Schürch, Vecchi e spazi di vita, Genova, il Nuovo Melangolo, 2022