Capire le REMS

 

di Carmen Gasparotto

Intervista al dott. Giovanni Maria Pavarin, magistrato e già presidente del Tribunale di Sorveglianza di Trieste

Fino al 2014 le persone con un problema psichico e colpevoli di un reato, anche prima di una sentenza, erano rinchiuse negli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) delle case di reclusione che a metà degli anni ‘70 sostituirono i manicomi criminali.

Gli OPG, dopo una scioccante indagine parlamentare che accertò le condizioni di estremo degrado degli istituti, vennero chiusi. Una legge del 2014 dice che queste persone devono essere curate e riabilitate, sfruttando la rete territoriale dei servizi di salute mentale nati nel 1978 grazie alla legge Basaglia. Solo nei casi in cui la persona rischi di essere pericolosa per la comunità il magistrato ne dispone il ricovero in una REMS (Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza).

Manicomi criminali, Ospedali psichiatrici giudiziari, Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Potremmo incominciare da qui. Potremmo incominciare dalle parole, dal potere che le parole hanno di lasciare un segno, di significare la realtà, di creare consapevolezza, oppure di distinguersi solo come risemantizzazione, ma senza generare alcun cambiamento effettivo, senza modificare una qualsivoglia situazione se quest’ultima non cambia nella sostanza delle cose. Ecco, potremmo incominciare da qui, mi dico prima di comporre il numero.

Il tono di voce è informale, accogliente, quasi famigliare. Ritrovo l’accento veneto – quello un po’ anche mio – dalle vocali docili e annegate in gola che mi ricordano le nebbie della pianura in certe giornate d’inverno e le zolle di terra bagnate e rilucenti del mattino dopo.

– Scriva solo già presidente del Tribunale di sorveglianza di Venezia e Trieste –, dice quasi a volersi schermire dal suo curriculum professionale segnato da importanti incarichi come magistrato, docente universitario, autore e coautore di diverse pubblicazioni in materia civile e penale.

Dott. Pavarin, cos’è cambiato rispetto a prima con l‘introduzione delle REMS?

 È cambiato molto. I vecchi OPG servivano a ospitare persone assolte per vizio totale di mente, persone nei cui confronti era stato emesso giudizio di semi imputabilità, ma non solo, anche coloro i quali, nel corso dell’esecuzione della pena, fossero stati raggiunti da un’infermità psichica. Le Rems possono ospitare solo i soggetti assolti per vizio totale o parziale di mente anche in via cautelare, cioè prima della definitività della sentenza, ma non possono ospitare coloro nei cui confronti la malattia psichica sia sopravvenuta nel corso dell’esecuzione della pena, cioè persone condannate perché considerate capaci di intendere e volere che, nel corso dell’esecuzione della pena, diventino degli infermi psichici. Quest’ultime, per sopraggiunto deficit psichico, non sono più imputabili e non possono essere ospitate nelle Rems. Quindi non c’è coincidenza tra il vecchio OPG e la nuova Rems. Questa la prima differenza.

La seconda differenza è che la Rems viene concepita dalla nuova legge (n.81/2014) come extrema ratio. Cioè deve essere ricoverata in Rems solo la persona che sia incapace di intendere e volere alla condizione che vi debba rimanere per un tempo limitato – quello previsto dalla legge – (mente in Opg una persona poteva rimanere internata a vita) e può uscire – deve uscire – quando i servizi sanitari sul territorio predispongono un programma individualizzato di trattamento e di reinserimento sociale. A differenza del passato la Rems prevede che la sola mancanza di questo programma terapeutico individualizzato per il reinserimento sociale, non possa essere una scusa, un motivo che il giudice adduce per prorogare la permanenza nella Rems.

Come detto, mentre prima una persona poteva rimanere in Opg anche per tutta la vita (si parlava in questi casi di ergastolo bianco) giusto perché fuori non c’era nessuno ad accoglierla, ad ospitarla, ora questa mancanza assoluta di riferimenti esterni non è di per sé sufficiente a motivare un’ordinanza di proroga delle misure di sicurezza. La misura di sicurezza porta lo stesso nomen juris, cioè si chiama sempre “ricovero in Opg o assegnazione alla casa di cura e custodia” anche se la eseguibilità della stessa avviene all’interno della Rems dove peraltro non entrano tutte le persone colpevoli di reato e con problemi psichici.

La misura di sicurezza non può comunque durare più della pena che sarebbe stata inflitta se il giudice avesse condannato il soggetto ritenendolo capace di intendere e/o volere. Bisogna pertanto verificare la pena edittale massima prevista dal codice per il reato dal quale il soggetto è stato assolto e per cui era imputato. Se, per esempio, il soggetto era imputato di aver rubato qualcosa (furto) e la pena massima per il furto sia di nove anni, non potrà stare in Rems più di nove anni dopo essere stato assolto.

L’ultimo ergastolo bianco che nella mia esperienza professionale mi è capitato di incontrare riguardava una donna che, a Venezia, si trovava in una casa di lavoro in misure di sicurezza. Il reato commesso riguardava il furto di uno shampoo all’interno di un supermercato. Non avendo la signora in questione né uno stipendio né una casa, il giudice aveva deciso di trattenerla dentro rimarcando che, siccome non aveva niente e nessuno, qualora fosse uscita avrebbe nuovamente rubato un altro shampoo per lavarsi i capelli.

Quante sono le Rems in Italia e quante nella regione Friuli-Venezia Giulia?

In Italia le Rems sono a oggi 31 e vi sono ricoverati (dato a gennaio 2024) 577 pazienti incapaci o semi incapaci di intendere e volere. Di queste tre – per complessivi sei posti letto – sono in Friuli Venezia Giulia e trovano sede ad Aurisina, Maniago, Udine. Sempre a fine gennaio 2024 erano 755 le persone “in lista d’attesa” per un posto Rems. Un serbatoio di nomi di persone nei cui confronti il giudice ha disposto l’assegnazione in Rems, in via provvisoria o in via definitiva, ma che non possono entrare per mancanza di posti. Dove si trovano queste persone? In carcere, agli arresti domiciliari, oppure sono liberi.

Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia ha il solo compito di indicare la Rems di prima assegnazione, il seguito (trasferimento da Rems a Rems, trattamento, dimissioni) viene gestito dall’Azienda sanitaria di competenza per le singole regioni. Di fatto il direttore del carcere viene sostituito dal responsabile del Servizio sanitario della Rems.

Come si spiega questa lunga lista d’attesa?

Con la carenza di posti. Ogni Rems prevede un massimo di venti posti. In base a quale criterio le regioni stilino le liste di attesa non è chiaro. C’è chi dice venga rispettato l’ordine di anzianità, chi la gravità del reato, chi la lunghezza della pena che deve essere scontata. Il criterio non è certo e non è lo stesso per tutta l’Italia. Questo è un problema tra i più spinosi considerando che chi resta in carcere, luogo non idoneo per ricevere cure necessarie e adeguate al disturbo, espone l’Italia ad una violazione gravissima dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Ce lo ricorda la sentenza “SY c. Italia” con la quale la Corte di Strasburgo ha accertato la violazione dell’articolo citato (proibizione di trattamenti inumani o degradanti) in quanto il sig. SY è stato trattenuto in carcere per oltre 35 giorni nonostante il suo stato di salute mentale fosse incompatibile con la detenzione in carcere e il giudice ne avesse ordinato il trasferimento in una Rems.

La gestione interna alle Rems è esclusivamente sanitaria, cos’è previsto per la sorveglianza esterna?

Ci dovrebbe essere una sorveglianza perimetrale h24 garantita dal prefetto. Uso il condizionale in quanto la carenza di organico delle forze dell’ordine in molti casi non lo permette. Purtroppo capita che il personale sanitario sia oggetto di aggressioni – perché la persona ricoverata non è compensata, perché non è stata ancora trovata la terapia adeguata, o per altre questioni. In questi casi intervengono le forze di polizia o i carabinieri.

Cosa prevede invece il percorso riabilitativo della persona che sconta la misura di sicurezza all’interno di una Rems?

Il percorso di cura e di recupero dei pazienti Rems si realizza attraverso trattamenti terapeutici farmacologici, psicologici, riabilitativi, attività culturali e formative decise dai singoli dipartimenti di salute mentale in un contesto che, gradualmente e per singolo caso, valorizzi anche le relazioni con la famiglia e con la società e la possibilità di un lavoro. Un insieme di misure che garantisca il controllo e la cura.

È ammesso l’ingresso del volontariato nelle Rems?

 Negli Opg valevano le stesse norme del carcere e spesso il volontariato ha avuto un ruolo importantissimo. Le Rems seguono solo per alcuni aspetti il regolamento penitenziario (permessi, licenze e poco altro) per il resto, e anche nel caso del volontariato, si rifanno alle disposizioni del Dipartimento di salute mentale del territorio e del magistrato di sorveglianza.

Cosa succede dopo le dimissioni e quali sono gli strumenti di reinserimento sociale possibili?

 Se il magistrato di sorveglianza ritiene che la Rems abbia neutralizzato la pericolosità sociale, può anche revocare tout court le misure e la persona torna alla libertà più assoluta. Statisticamente avviene che il passaggio sia graduale e passi attraverso la libertà vigilata, che in genere dura un anno, al termine della quale, qualora sia necessario, è prevista un’ulteriore udienza e un’altra perizia. Il magistrato controlla che le applicazioni siano state osservate e se non lo sono ne valuta la gravità e l’eventuale proroga della misura di un ulteriore anno, di sei mesi, oppure la revoca della stessa.

In molti casi, all’esterno, queste persone non hanno una rete famigliare di sostegno. Sono uomini e donne che una famiglia non l’hanno mai avuta oppure l’hanno persa. Vengono in aiuto le case-famiglia o le comunità che tuttavia scarseggiano insieme alla volontà da parte delle amministrazioni locali di farsi carico di queste persone; una delle conseguenze della “cultura dello scarto”, come dice Papa Francesco, che tende a diventare mentalità comune che contagia tutti, spesso unita al pregiudizio e alla paura che accompagnano la mancata conoscenza del problema.