Il futuro del welfare è oggi, non domani.
di Claudio Calandra
In un recente libro-intervista a cura della giornalista Rosanna Magnano e del medico e divulgatore scientifico Paolo Nucci, viene affrontato il tema del futuro della sanità pubblica nei suoi aspetti politici, istituzionali, organizzativi.
La salute della popolazione italiana nella sua interezza è una risorsa da difendere o un costo ormai insostenibile? Il nostro SSN, con le sue liste d’attesa mostruose e le mille imperfezioni ma con le eccellenze che il mondo ci invidia, con un pronto soccorso che salva la vita a chiunque si presenti senza controllare preliminarmente se un’assicurazione copra le spese dell’intervento prima di disporlo, va sostituito, riformato, cambiato con un sistema più selettivo per censo, per chi può? Rispondere a questa domanda vuol dire avere una visione sul futuro del Paese.
L’invito è a riflettere su quello che si dà per scontato ogni giorno, la nostra salute, almeno fino a quando una malattia o un incidente non la riportano al primo posto. E a riflettere con attenzione sulla sanità pubblica, quella che i contribuenti pagano versando le tasse (chi le paga), che spesso si tende a disprezzare.
Non farò qui la storia della sanità pubblica, dal sistema universalistico Beveridge del 1942, un modello in cui lo Stato è garante della salute per tutti, finanziato dalla fiscalità generale in condizioni di uguaglianza, al National Health Service della Gran Bretagna del 1948. Ricordiamo l’art 32 della nostra Costituzione, secondo cui la salute è un fondamentale diritto dell’individuo, la legge Mariotti del ‘68, la riforma del ‘78, la riforma De Lorenzo del ‘92 e la riforma Bindi del ‘99 e infine la riforma del titolo V delle Costituzione. Sono elementi di storia-cronaca, che chiunque trova ampiamente illustrati nelle fonti.
L’assistenza sanitaria è costretta a scontrarsi con l’impossibilità di soddisfare pienamente tre obbiettivi chiave: l’universalità (tutti possono accedere alle prestazioni sanitarie), la globalità (accesso a tutte le prestazioni sanitarie) e l’eccellente qualità dell’assistenza. Secondo Nucci siamo in una situazione di universalismo mitigato “quasi tutto, quasi gratis, a quasi tutti”.
In merito alla medicina generale in Italia vi sono circa 40mila medici di base, che non sono pochi ma hanno un obbligo di circa 15 ore/settimana; il medico non è un dipendente e deve provvedere quindi a previdenza, ferie, sostituzioni e prendersi cura di 1000-1200 pazienti, con pesanti responsabilità derivanti dall’impossibilità di avere un supporto diagnostico adeguato.
Si parla delle Case della Comunità, il cui numero dovrebbe ammontare secondo il PNRR a 1430; si tratta di ospedali in miniatura con più medici di medicina generale, un laboratorio di analisi, una radiologia, vari specialisti ambulatoriali con le attrezzature necessarie; la presenza degli infermieri dovrebbe garantire il triage, resterebbero aperte h24 con un contratto di dipendenza, un numero congruo di ore e una remunerazione adeguata.
Questo tema merita una parentesi. In Germania vi sono circa 3.539 Polikliniken, centri di cura finalizzati a scaricare la pressione dei pazienti sugli ospedali in generale e sui pronto soccorso in particolare. Questo, secondo la riforma sanitaria del Ministro Karl Lauterbach, consente di avere meno ospedali (oggi in Germania sono1.914) più altamente specializzati per le patologie più rilevanti, sostituendo il sistema di remunerazione statale invece che per paziente assistito, il che favorisce la quantità a scapito della qualità, con un sistema basato sulla qualità della prestazione sanitaria.
Approfondiamo questa realtà:
I 1.914 ospedali tedeschi dispongono di 494mila posti letto (in Italia gli ospedali sono 1.059 con 212mila posti letto). Il numero di posti letto (8×1000 abitanti) è il più alto in Europa (in Italia 3,1×1000 abitanti). La spesa sanitaria è di € 4.500 per abitante (in Italia di € 2.473 per abitante). La Germania destina alla sanità l’11,7% del PIL (l’Italia l’8,7%). Su certi numeri va fatta una opportuna valutazione sulla differenza nel numero degli abitanti, 83mil in Germania, 60mil in Italia. Sui valori percentuali no.
Va chiarito che il sistema sanitario tedesco è molto diverso dal nostro. In Germania vige il modello di finanziamento del sistema sanitario noto come Bismark-Modelle (Soziale Krankenversicherungsmodelle), in Italia vige il modello Beveridge, modello di mutualità a reciprocità, dove l’ente pubblico si fa carico della spesa.
In Germania tutti i lavoratori dipendenti, al di sotto di un reddito annuale di circa 62mila euro, sono obbligati a sottoscrivere un’assicurazione sociale con una delle 132 assicurazioni pubbliche; il costo ammonta al 15,5% del salario ed è sostenuto per la metà dal datore di lavoro.
Chi ha un reddito superiore a 62mila euro/anno può invece sottoscrivere un’assicurazione privata concordando prestazioni e costi. Liberi professionisti e lavoratori autonomi possono scegliere dove rivolgersi indipendentemente dal reddito. Per i disoccupati, disabili e coloro che hanno un reddito inferiore a 450 euro mensili, lo Stato si fa direttamente carico della loro assistenza sanitaria.
Come si vede un sistema profondamente diverso anche se non esente da critiche. Una, fondamentale, è che si corre il rischio di una sanità di serie A, per chi può permettersi una assicurazione più performante ed una di serie B. Il sistema sanitario tedesco, specialmente dopo il Covid, ha mostrato le sue carenze, cosa che ha motivato la riforma sanitaria del Ministro Lauterbach, recentemente approvata, che, pur non modificando il Modello Bismark, ha introdotto una razionalizzazione nella spesa sanitaria, nella funzione degli ospedali, sul rimborso basato sulla qualità (4 livelli di strutture ospedaliere) invece che sulla quantità delle prestazioni e sulla valorizzazione dell’assistenza ambulatoriale.
Fatta questa parentesi ritorniamo al tema generale.
La sanità è purtroppo un sistema dove la spesa è sostanzialmente infinita. L’invecchiamento della popolazione, la giustificata richiesta di cure sempre più performanti, la necessità di strumenti e macchinari sempre più sofisticati, sempre più cari e più velocemente obsoleti, la necessità quindi di personale più preparato, motivato e congruamente remunerato rendono necessari investimenti di anno in anno più rilevanti. Investire in sanità invece che ad esempio nella scuola, nelle infrastrutture, nei trasporti, nella previdenza, nella sicurezza del territorio, nella tutela del patrimonio culturale è una scelta politica non banale.
Non è solo un problema di quantità di risorse investite ma di come queste risorse vengono utilizzate. Questo presuppone la capacità di programmazione, la chiarezza di perseguimento, la capacità di controllarne l’evoluzione, che sono le cose più difficili da monitorare su vasta scala.
In realtà va detto che, al di là di una generale e generica lamentazione, i pazienti in gran numero riconoscono il grande impegno, il sacrificio e la dedizione individuale con cui il personale ovvia alle carenze del sistema, fornendo una prestazione complessiva che tra alti e (qualche) basso riscuote l’apprezzamento dell’utente.
Si sta facendo strada anche da noi l’ipotesi di forme assicurative che potrebbero sostituire il sistema Beveridge. Il supporto di un’assicurazione complementare non è del tutto estraneo al nostro sistema. Sono infatti numerosi i casi di assistenza sanitaria integrativa presenti sul territorio, stipulando una polizza sanitaria in autonomia o avendola inclusa nel proprio contratto di lavoro, che garantiscono una più completa copertura delle spese mediche per gli iscritti. (Terziario, distribuzione e servizi, distribuzione organizzata, pubblici esercizi, ristorazione collettiva, imprese di viaggi e turismo, impianti sportivi e attività sportive, aziende farmaceutiche, aziende ortofrutticole, aziende del tessile e calzature, occhialeria, giocattoli, comparto pulizia e multiservizi, cooperative sociali operanti in edilizia, sociosanitario, aziende dalla cooperazione ecc.).
Sono stati calcolati i fondi sanitari integrativi. Il loro numero è oggi di 322 e le persone iscritte ammontano a circa 16 milioni, certamente una quota marginale nell’universo assistenziale. Si tratta di milioni di lavoratori, insieme a 4 milioni di familiari, attraverso aziende private; 1,5 milioni di professionisti attraverso casse di previdenza privatizzate.
Per Marina Elvira Calderone, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, ciò rappresenta un’integrazione al sistema sanitario pubblico con l’obbiettivo di alleggerirne il carico per prestazioni di media intensità (diagnostica e cure ambulatoriali). Esso non deve sostituire il sistema pubblico ma potenziarlo. Sostiene Calderone che la spesa pubblica si era attestata a 41,5 mld di euro nel 2022 con un aumento dello 0,8% sul 2021 e il trend è in aumento. Solo il 24% della popolazione è coperto da un’assicurazione integrativa, un dato considerato insufficiente, da estendere per esempio alla Pubblica Amministrazione.
Il futuro potrebbe perciò vedere un’integrazione da parte dell’assicurazione privata a sostegno del sistema sanitario pubblico, (auguriamoci senza arrivare all’eccesso degli Stati Uniti) modulati con pesanti e discriminanti forme di assistenza tramite assicurazioni private, interventi aziendali, grazie ad una attenta programmazione e predisposizione di strumenti e riforme.
Recentemente abbiamo appreso dai mezzi di comunicazione che l’accesso alla facoltà di medicina non dipenderà più dal superamento del test d’ingresso, facendo quasi supporre che le iscrizioni siano libere ed aperte. È un falso! Fosse solo una fake news sarebbe il male minore. In realtà il test o gli esami di ingresso sono spostati a dopo il primo semestre di frequenza a medicina. Cosa succederà se 70.000 matricole si dovessero iscrivere e passare solo in 20.000, quelle stabilite? Che ne sarà degli altri 50.000? Perderanno un anno? Come faranno gli atenei, già oggi in sofferenza, a gestire questa massa di matricole? Riusciranno ad entrare in ospedale per vedere un malato? Le graduatorie nazionali di ammissione definitiva, come potranno essere eque ed omogenee, se lo stesso esame viene svolto in sedi diverse da Milano a Catania, con professori diversi, domande diverse, contesti diversi? A tutto ciò non vi sono risposte.
Secondo dati della Banca d’Italia la formazione di un medico specialista sembra che costi allo stato dai 200mila ai 300mila euro. Oggi è possibile e legittimo che, dopo aver usufruito di questo ingente impegno a carico dei contribuenti, il medico decida di investire le sue competenze nell’interesse di quanti avranno la possibilità economica di accedere alle sue prestazioni. Negli USA, dove le tasse universitarie sono molto più alte che da noi, esiste il prestito d’onore ripagato negli anni successivi all’ingresso nel mondo lavoro. Anche da noi si stanno facendo strada alcune modalità di prestito d’onore; sarebbe forse giusto che il giovane restituisse qualcosa al Paese, prevedendo ad esempio l’obbligo di rimanere a lavorare nel SSN fino ai 35 o 40 anni.
Il numero di infermieri in Italia (secondo Fnopi Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche) è di 343.279 unità. Considerati i pensionamenti, le necessità della Case di Comunità, l’assistenza domiciliare integrata, i frequenti trasferimenti all’estero ecc., si calcola che ne manchino circa 60-70 mila e di questi 30-40mila solo sul territorio.
Secondo gli esperti, grazie alla chiusura dei piccoli ospedali e accreditando il privato solo per quello per cui il pubblico è carente, si dovrebbero recuperare le risorse per riorganizzare l’intero settore sanitario, adeguare gli organici, ammodernare gli edifici, arredamenti e apparecchiature tecnologiche, assumendo giovani medici e infermieri da utilizzare sul territorio. Oggi i risparmi vengono effettuati con tagli lineari invece che con discrezione sui risparmi più efficaci.
Come si vede c’è moltissimo da fare e solo una politica che assuma scelte drastiche ma condivise ha la possibilità di mettere mano a riforme che non hanno più tempo di aspettare.
Bibliografia
Paolo Nucci e Rosanna Mangano – Chi ci curerà – Appunti sul futuro della sanità pubblica, Il Sole 24 Ore – Radio 24, 2023
Audizione del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale Marina Elvira Calderone alla commissione Affari Sociali, Sanità e Previdenza Sociale del Senato 3 ottobre 2024 sulle forme integrative di previdenza e assistenza sanitaria.
Fiora Luzzatto – Esiste ancora lo stato sociale? Passato, presente e futuro del sistema italiano di welfare – FrancoAngeli, 2013
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