Volontari e volontariato

6,6 milioni di persone impegnate

di Claudio Calandra di Roccolino

27 settembre 2021

Il fenomeno del volontariato, oggi fortemente diffuso in tanti settori della vita civile, si è notevolmente sviluppato nell’ultimo cinquantennio. Non che nel passato non esistesse, ma in forme e motivazioni completamente diverse. Dalle Misericordie di origine medioevale, ispirate da ragioni religiose o devozionali, al volontariato di origine sindacale-operaia, inteso come mutua assistenza, senza dimenticare il volontariato filantropico ottocentesco.

Il fenomeno che conosciamo oggi, però, si differenzia da quelli sopra descritti per due elementi fondamentali. Uno è quello di operare in campi e settori nel passato non frequentati: cultura, ambiente, arte, compagnie teatrali, difesa del suolo, dei beni artistici, del verde, gruppi musicali, comitati antidroga, partiti politici, sindacati, comitati di anziani, di donne, di madri, ambientalisti, animalisti, pacifisti, vegani, giovani. Ed anche gruppi rivolti all’aiuto di terzi o alla tutela dei diritti degli associati o facenti parte, gruppi di testimonianza civile e sociale, senza tralasciare i campi più propriamente assistenziali e sanitari, quali la cura dei più deboli e bisognosi o dei disabili, oppure l’assistenza ospedaliera. Alcune di queste realtà sono note a tutti: Avis, Avo, Croce Rossa, Croce Verde, San Vincenzo ecc.; accanto a loro migliaia di associazioni conosciute o meno attive nei campi più disparati.

L’altro elemento caratterizzante è il numero imponente di cittadini impegnati in attività di volontariato. Si calcola che in Italia (dati Istat 2019) vi siano circa 350 mila associazioni, che riuniscono 6,6 milioni di persone impegnate in attività di volontariato, ma il numero è sicuramente in difetto sia perché non tutte le organizzazioni risultano catalogate, sia perché andrebbero aggiunti coloro che svolgono un’attività volontaria personale, non inserita in un’organizzazione stabile.  Il volontariato ha in parte sostituito la consuetudine alla solidarietà, che nel passato trovava la sua origine nei rapporti di vicinato, di parentela, di cura, rispetto ai quali il nostro modo di vivere ha indotto forti condizionamenti.

I motivi di tale diffusione sono molteplici. La presa di coscienza di molti sulle innegabili carenze dello stato sociale e assistenziale nei confronti di una collettività sempre più esigente, che considera, a ragione, i benefici sociali e assistenziali come variabili non contrattabili, e ciò indipendentemente dal fatto che le risorse pubbliche consentano o meno di sostenerle.  Il desiderio di rendersi utili alla comunità, da parte di una vasta schiera di persone, soprattutto di pensionati che, fruitori di un moderato benessere e di una sufficiente energia fisica, sono disposti a rimettersi in gioco, ma anche di giovani, che nel volontariato individuano una forma tra le tante di possibili esperienze attive sul territorio, di cittadinanza consapevole, di impegno pseudo-professionale.

È stato ulteriormente osservato dal sociologo Costanzo Ranci (Identità e servizio, il Mulino, 1991) che il volontariato, anche se trova espansione ed espressione nel mutato atteggiamento della presa di coscienza morale e civile espressa dalla società dagli anni ‘70 in poi (contestazione), non si pone pregiudizialmente in antitesi con il sistema istituzionale, ma spesso in affiancamento e collaborazione con gli interventi pubblici. Va sfrondato il sillogismo per cui il volontariato è bene di per sé perché è dono oppure è bene perché è gratuito. Gli studi più attenti hanno individuato la natura di scambio, consapevole o meno, anche nell’attività volontaria. Innanzitutto il volontario acquisisce un ruolo riconosciuto positivamente da parte della società/collettività per questa scelta altruistica; secondariamente esplica una sorta di supremazia non scritta nei confronti del donato, che mai potrà contraccambiare il dono ricevuto, se non con la riconoscenza e l’affetto, elementi questi importantissimi, che appagano il volontario degli sforzi fatti, ma che non riequilibrano il rapporto comunque sbilanciato tra donante e donato; la sua prestazione, infatti, continua ad essere percepita dal donato come una libera offerta e non, come nel campo del servizio pubblico, come un diritto.

In terzo luogo caratteristica precipua del servizio volontario è creare legami di affetto/solidarietà, che vengono considerati importanti per loro stessi a prescindere dall’effettivo risultato positivo o meno dell’azione volontaria. Il dilemma che attanaglia il volontariato resta proprio questo. I cambiamenti sempre più rapidi della società obbligano il volontario a tenere il passo con le nuove esigenze, ma questo rischia di comportare una sempre più accentuata professionalità dell’azione e un contestuale snaturamento dei presupposti di gratuità e solidarietà. L’alternativa è d’altra parte quella di restare ancorati a formule in qualche modo originarie, che rischiano però di costringere il volontariato verso una marginalità autoreferenziale dell’azione.