Bonus Migrazione. Una risorsa preziosa, non un esercito di paraschiavi.

di Fabio Denitto

14 marzo 2022

Trieste è senza dubbio una bella città e sta diventando ancora più bella con l’impressionante rifacimento delle facciate di moltissime sue case, grazie al Bonus Facciate. Dovunque ti giri ci sono le impalcature delle ditte incaricate dei lavori tanto che la città sembra ingabbiata. Quando poi però le impalcature vengono tolte, le case sembrano vivere una nuova vita: hanno una bellezza che ti stupisce e ti affascina. Se passi sotto quelle impalcature, però, non senti parlare italiano; albanese, serbo, romeno sono le lingue prevalenti e, se senti un po’ d’italiano, quasi sempre è l’imprenditore che parla. Quando poi assisti al montaggio delle impalcature, lavoro meno specializzato rispetto al rifacimento delle facciate, la nostra lingua è un’illustre sconosciuta… a meno che non sia al lavoro un ragazzo di colore che ha bisogno di comunicare con i suoi compagni dell’Est europeo. La necessità è una molla fondamentale sulla strada dell’integrazione.

Si può dire perciò con certezza che il numero delle facciate rifatte sarebbe stato minimo se a lavorarci fossero stati esclusivamente operai italiani. Abbiamo scoperto così, grazie al Bonus Facciate e a quello dell’efficientamento ambientale, un altro settore dove il nostro paese è in totale debito verso i lavoratori immigrati. Sapevamo già che sulle nostre tavole non arriverebbero mai pomodori e arance se non venissero raccolti da migliaia e migliaia di mani venute dal Sud del mondo. Che non ci sarebbero latte e mozzarelle senza i lavoratori indiani nelle stalle del Nord del paese. Questo senza contare il milione circa di badanti che si occupano dei nostri vecchi, spesso in nero. Come in nero e in condizioni di lavoro e di vita spesso disumane e degradanti si trovano i braccianti stranieri nel nostro Meridione. Un altro settore in cui gli italiani sono sempre meno è quello dell’autotrasporto dove moltissimi autisti vengono dall’Est europeo.

Il sociologo Luca Ricolfi nel suo libro La società signorile di massa (La Nave di Teseo editore) chiama tutti questi lavoratori “paraschiavi” e ne fa un calcolo approssimativo di tre milioni e mezzo. Comprendendovi però anche gli italiani sottopagati e iper-sfruttati. Nello stesso libro lo studioso dice che “fra i cittadini ultraquattordicenni la percentuale di quanti non svolgono alcun lavoro supera il 50%”, ci sono cioè in Italia più inoccupati che occupati! Le cause sono molteplici a cominciare dal diffuso benessere accumulato negli ultimi decenni che permettono appunto a milioni di cittadini di non lavorare: basti pensare alle casalinghe, ai giovani che non lavorano e non studiano, ai pensionati. Il che non impedisce che ci siano nel paese ampie sacche di povertà, come ben sanno i volontari della Comunità di San Martino al Campo che allo “Sportello d’ascolto” si occupano delle richieste di aiuto da parte di chi non riesce ad arrivare alla fine del mese. Ma senza dubbio è anche grazie ai milioni di “paraschiavi” che l’Italia può permettersi di essere una società signorile di massa, una società cioè dove la massa della popolazione gode di un tenore di vita che un tempo era appannaggio solo dei “signori”.

Questi dati già di per sé preoccupanti diventano tragici se esaminiamo la situazione demografica. In Italia nel 2017 sono decedute 650mila persone e ne sono nate 400mila circa, cifra che diminuisce anno dopo anno. Uno squilibrio di ben 250mila individui! È chiaro che la società signorile di massa di cui parla Ricolfi ha i giorni contati se non s’interviene subito. Con un maggior numero di donne al lavoro (l’Italia ha il più alto tasso di disoccupazione femminile in Europa); con l’allungamento dell’età pensionabile (altro che quota 100!); con una maggiore produttività individuale basata sulle aumentate competenze tecnologiche. Ma anche con una politica dell’immigrazione lungimirante. Che non può che essere condivisa a livello europeo e basata sui corridoi umanitari in modo da programmare l’arrivo e l’inserimento dei migranti nella nostra economia, considerandoli una risorsa preziosa e non un esercito di paraschiavi.

Il pericolo in questo caso è che scelte politiche sbagliate portino l’Italia nel baratro. Le immagini dei migranti sulle nostre coste, che suscitano un atavico istinto di difesa del territorio; le violenze avvenute di recente nelle grandi città da parte di bande di extra comunitari, che alimentano un senso d’insicurezza, sono tutti elementi che un governo poco avveduto potrebbe sfruttare a fini elettorali, continuando a non gestire l’immigrazione e portando l’Italia a un irreversibile declino. Qualcosa del genere sta avvenendo in Giappone dove quasi non esiste immigrazione infatti i lavoratori stranieri sono meno del 2% della popolazione. Quel paese si sta spopolando tra una popolazione molto anziana (un giapponese su quattro ha più di 65 anni) e un tasso di natalità tra i più bassi al mondo. Mancano perciò in modo drammatico braccia soprattutto nell’agricoltura e nell’edilizia, proprio come da noi. Per questo motivo il governo sta discutendo delle nuove leggi per portare al 10% della popolazione il numero totale dei lavoratori stranieri. Questa legge però è fortemente osteggiata dalla maggioranza della popolazione tradizionalmente poco disponibile verso gli stranieri.

Altro che società signorile di massa! Senza sviluppo economico, l’Italia del futuro rischia di perdere tutto il welfare conquistato nel corso di decenni fatto di pensioni, sanità pubblica gratuita, istruzione per tutti. L’Italia del futuro si gioca molto più delle belle facciate che ora ammiriamo soddisfatti.