Il diritto allo studio in carcere

a cura di Carmen Gasparotto

12 aprile 2023

Intervista alla professoressa Franca Garreffa, docente di Sociologia giuridica e della devianza presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università della Calabria e direttrice del Corso di Alta Formazione ‘Devianza e Neuroscienze’. Responsabile alla didattica degli studenti detenuti del Polo Universitario Penitenziario, svolge anche attività di osservatore dell’Associazione Antigone negli istituti di pena per adulti della Calabria e Istituto penale minorile.

Prof.ssa Garreffa, lo studio, la cultura e la ricerca possono dare un senso alla pena carceraria?

Non possiamo continuare a illudere la collettività che il carcere rieduchi benché questa sia la giustificazione e la finalità della pena; lo sappiamo che il carcere non riesce ad assolvere a questo compito e non è tanto un problema di ruolo ma anche di risorse necessarie e senso della realtà. Non ci si può più voltare dall’altra parte di fronte ai tassi di suicidio (un fenomeno che coinvolge anche il personale penitenziario), recidiva, violenza, maltrattamenti, sovraffollamento e malattia psichica. La nostra sensibilità civile e democratica ci chiama in causa e ci interroga per intervenire e lavorare dentro e fuori le carceri per garantire diritti e opportunità alla popolazione detenuta contribuendo a costruire un clima penale in linea con la Costituzione.

Esiste una missione sociale, civile nonché educativa delle Università che devono contribuire ad elevare il livello di conoscenza e preparazione delle persone detenute, solitamente adulti con gravi deficit formativi e culturali che hanno bisogno di colmare. Anche il livello della scolarizzazione primaria spesso è assente. La cultura in generale, e non in via prioritaria il conseguimento di un titolo di laurea, come ben posto nella sua domanda, è assolutamente indispensabile in un luogo così chiuso come il carcere, non solo per ottenere eventuali ricadute positive nel mercato del lavoro terminata la pena, ma proprio per una piena reintegrazione sociale dell’ex detenuto nella società e un innalzamento della qualità della vita in contesti segreganti e coercitivi come il carcere e in ultimo per l’evitamento della recidiva. L’accumulo di risorse, competenze e l’impiego costruttivo del tempo nella pena sono indispensabili per resistere alla routine carceraria con le sue ferree regole.

Il successo negli studi universitari è certamente una rivalsa, per persone che sentono di aver fallito, è un modo per riaccreditarsi agli occhi dei propri familiari ma è anche un modo per acquisire consapevolezza dei diritti e dei doveri riducendo le disuguaglianze tra sorveglianti e sorvegliati fino all’auspicio del riconoscimento del merito in qualsiasi condizione ci si trovi (abbiamo anche un ergastolano ostativo iscritto a un percorso di Dottorato di ricerca in Sociologia, già laureato in Giurisprudenza). Se il tempo della pena diventa anche un’occasione di promozione della conoscenza, della cultura dell’integrazione, della giustizia, della legalità, delle buone pratiche e dell’accoglienza amichevole di tutti, anche di chi ha commesso gravi reati, allora un senso potremmo ritrovarlo nella privazione della libertà in carcere per un tempo determinato. Altrimenti, un senso, il carcere non ce l’ha proprio perché è risaputo che è una istituzione patogena, peggiorativa delle persone detenute e delle loro condizioni di vita presenti e future.

Secondo l’Ordinamento penitenziario gli elementi cardine attraverso i quali si attua la rieducazione sono il lavoro e lo studio. È proprio così? Che cos’è che non funziona dal momento che il tasso di recidiva si attesta intorno al 65%?

Solo da cinque anni gli Atenei aderenti alla Conferenza Nazionale Universitaria Poli Penitenziari (Cnupp) lavorano in maniera sinergica, organizzata e strutturata, tanto da avere un sistema di poli universitari penitenziari. Dovete sapere che intorno a noi c’è un capitale umano formato dai volontari e dai giovani studenti e studentesse che è la principale risorsa che abbiamo nei Poli universitari penitenziari (Pup); si spera che nel tempo a tale offerta vengano affiancati impegni finanziari pur nelle ristrettezze economiche in cui versano gli Atenei, per contare su figure istituzionali in grado di rispondere adeguatamente alla mole di bisogni che sono necessari per mantenere questo sistema nel tempo ed elevare le performances scolastiche e universitarie delle persone detenute, se si pensa di voler salvaguardare il diritto allo studio delle persone private della libertà in posizione prioritaria.

Nella Cnupp i docenti sono impegnati attivamente non solo nelle varie missioni in cui si articolano gli impegni universitari nei confronti degli studenti e della collettività ma anche in cinque tavoli di lavoro, gruppi permanenti a livello nazionale, che lavorano costantemente su: didattica universitaria carceraria; identità del Polo nell’organizzazione universitaria; questioni amministrative e forme di tutorato; ricerca scientifica in ambito penitenziario ed esperienze per il diritto allo studio; sviluppo di progetti e confronti internazionali; terza Missione delle università rapporti col territorio, comunicazione; formazione di competenze linguistiche e recupero crediti di studenti detenuti stranieri. La dimensione del lavoro, anch’essa dovrebbe essere abbracciata guardando prioritariamente al superamento del modello detentivo basato su passività e segregazione mettendo insieme le tante realtà di economia carceraria ma anche avvalendosi di imprenditori illuminati che abbiano a cuore l’importanza di avvalersi del lavoro penitenziario in un primo momento, e successivamente continuare la collaborazione con il lavoratore ex detenuto, fuori. Guardate che la stragrande maggioranza della popolazione detenuta è soggetta a un ozio forzato pericoloso e distruttivo.

Lo studio è un diritto che riguarda ogni persona. Quanto è difficile esercitarlo in una situazione di privazione?

Lo studio è un diritto che sovente rimane sulla carta in carcere. Tant’è che l’Università della Calabria è uno dei circa quaranta Atenei italiani che aderisce alla già citata Cnupp, istituita il 9 aprile 2018 presso la Conferenza dei Rettori delle università italiane; sono componenti della Conferenza i Delegati nominati con decreto dei Rettori e l’Assemblea generale che viene convocata due volte all’anno dal Presidente della Cnupp, professor Franco Prina dell’Università di Torino.

Quanti sono gli studenti e le studentesse universitari/e nelle carceri italiane e quali principalmente i corsi di laurea coinvolti?

Nello scorso anno accademico 2021/2022, risultavano 1.246 studenti detenuti iscritti a corsi di studio della triennale o Magistrale, di cui 1.201 uomini e 45 donne. Anche gli ultimi dati del monitoraggio annuale a cura della Cnupp sugli studenti detenuti universitari sono positivi, con un trend in costante crescita. Il numero degli iscritti in carcere è pari a 1.114, il numero degli iscritti in misure alternative o in esecuzione penale esterna o a fine pena è pari a 132. Abbiamo 626 studenti ristretti in media sicurezza, 449 in alta sicurezza, 33 sottoposti al regime di 41 bis e 6 negli Istituti penali per minorenni.

Sempre secondo il monitoraggio Cnupp il dato nazionale posso sintetizzarlo per aree disciplinari dei corsi di laurea: area politica-sociale è quella maggioritaria, si attesta al 27%, area letteraria artistica 18%, area agro-alimentare 10%, area psico-pedagogica 8%, lo stesso area storico-filosofica 8%, area economica 7%, area scientifica (Stem) 4%, area medico-sanitaria 2%.

È immaginabile che in futuro i detenuti possano iscriversi a corsi di studio di area tecnico-scientifica, in cui è fondamentale la pratica dei laboratori e dunque recarsi fisicamente presso l’ateneo?

La Cnupp dialoga costantemente con il livello nazionale, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria; ha istituito i Poli Universitari grazie alle convenzioni tra Atenei ed i Provveditorati regionali dell’amministrazione penitenziaria. Grazie a questa collaborazione è possibile dialogare con gli uffici di sorveglianza e con l’amministrazione penitenziaria centrale e dunque laddove vi siano le condizioni per godere di permessi per recarsi in Università per frequentare i laboratori o nelle strutture per svolgere tirocini allora è possibile soddisfare la richiesta di immatricolarsi a corsi di studio che rispecchino i propri talenti, altrimenti l’orientamento in ingresso che noi svolgiamo in carcere è teso a selezionare anche corsi di studio possibili e non desiderabili. D’altronde la fotografia che le ho dato prima sulla situazione nazionale rispecchia questi limiti, gli studenti detenuti si addensano soprattutto nell’area giuridica, sociologica e delle scienze politiche.

Gli studenti universitari che hanno superato tutti gli esami del loro anno e che versano in condizioni economiche disagiate possono ottenere il rimborso delle tasse, dei contributi scolastici e dei libri?

I detenuti che si iscrivono all’Università nell’ambito del sistema Pup possono godere dell’agevolazione dell’esenzione dalle tasse in molti Atenei. Se si iscrivono fuori dal sistema Pup sono soggetti alla dichiarazione ISEE diritto allo studio come gli studenti in stato libero. Alcuni Pup, grazie a Fondazioni e altre fonti di finanziamento garantiscono anche i libri di testo, qualche casa editrice su nostra richiesta ci fornisce volumi da donare agli istituti penitenziari.

Sappiamo quanto a volte da ristretti sia difficile anche solo leggere, trovare la giusta concentrazione. Come si studia in carcere? Ci sono stanze adeguate, biblioteche, dotazioni informatiche, spazi di socializzazione?

Ci sono spazi dedicati e impegnati per le attività didattiche e per altre attività complementari, di natura culturale, formativa, ricreativa: aule, biblioteche, sala Teatro. Tuttavia, siamo ancora molto lontani dalla disponibilità di spazi previsti nelle carceri per gli studenti afferenti ai Poli didattici penitenziari che secondo le Linee guida della Cnupp prevederebbero sezioni detentive dedicate, camere di pernottamento singole per gli studenti del Pup, la possibilità di tenere anche in cella il personal computer ovviamente con la porta USB inibita per interdire l’accesso a internet, invece nelle condizioni attuali molti stanno in celle sovraffollate e dunque si riducono a studiare e ripetere nel bagno della cella o a studiare con televisori accesi da mattina a sera e in spazi sprovvisti anche degli arredi basilari per svolgere una attività di studio. Pochi studenti detenuti godono di pregevoli iniziative di singoli istituti penitenziari, a volte non è solo un problema di spazi, è mia ferma convinzione che direttori e aree educative sostenuti dal corpo di polizia penitenziaria lavorano tanto e bene, sono presenti tante energie vocate alla reintegrazione sociale dei detenuti anche perché osservano con stupore e gratitudine le tante energie giovani e meno giovani, di studenti, volontari, dipendenti con ruoli accademici e tecnico-amministrativi, professori universitari in pensione che desiderano dare una mano ai detenuti e si impegnano settimanalmente per parecchi giorni a settimana a sostenerli nello studio. Tuttavia, poi ascoltiamo e leggiamo pensieri di persone esperte e meno esperte, pensieri dell’uomo qualunque e l’alienazione presente nella società porta a urlare che vivono in alberghi a spese della collettività, ‘hanno pure il televisore’, sono liberi di uscire dalle celle, si laureano pure, capiamo che in questo modo la persona detenuta diventa un soggetto passivo di una narrazione pubblica che lo blocca in un’identità esclusivamente criminale e con la quale si entra in un circolo vizioso alimenta solo violenza e altra criminalità.

Secondo lei, i comportamenti criminali per quanto riguarda la delinquenza minorile, sono relazionabili unicamente a fattori socioeconomici e a condizioni di disagio delle famiglie di origine?

Ogni società ha i criminali che si merita diceva Lacassagne. L’uso del sistema penale come alternativa al sistema di welfare ha una storia ultraventennale nel nostro Paese, si è arrivati alla carcerazione come risposta diffusa e non più come extrema ratio. Ci troviamo in una situazione di espansione costante della risposta penale che accresce la popolazione carceraria e che a sua volta comporta il peggioramento della condizione detentiva. La dimensione della popolazione carceraria di ogni società è certamente il risultato delle idee politiche correnti e della pigrizia nel trovare soluzioni diverse da quelle penali. Il reato è il prodotto di un processo culturale, sociale e mentale, perché negli atti ci sono molte alternative di comprensione, follia, esaltazione, bravata giovanile, crimine ecc. Soprattutto nei confronti dei minori la risposta penale è deleteria.

Grazie.

Alcune pubblicazioni della professoressa Garreffa: Il carcere invisibile tra realtà e immaginario, Libellula Edizioni; Accoglienza, assistenza e protezione delle persone migranti, FrancoAngeli; In/sicure da morire. Per una critica di genere all’idea di sicurezza, Carocci; Quanto costa il silenzio? (con Badalassi G. e Vingelli G.) Grafica Aelle.